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Gaza, una rete solare per rinascere

Come ricostruire l’infrastruttura elettrica di un territorio distrutto. E perché il futuro passa dal sole, non dal diesel.
22 de maio de 2025 por
Gaza, una rete solare per rinascere
Lisa Contini
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La Striscia di Gaza oggi non ha più una rete elettrica. Né un sistema sanitario funzionante. Né una rete idrica affidabile. A due anni dall’inizio del conflitto che ha devastato il territorio, la popolazione – oltre 2,3 milioni di persone – vive nel buio. Nel senso più letterale.

Ospedali che funzionano con generatori di fortuna. Impianti di desalinizzazione fermi. Caricatori USB che diventano beni preziosi da scambiare al mercato nero. Il vecchio impianto diesel di Gaza City – bersaglio strategico nei primi mesi di guerra – è fuori uso. E le linee israeliane che garantivano una parte cruciale dell’energia sono interrotte da mesi.

Ma c’è un’idea, che avanza tra le macerie come un filo elettrico invisibile: non ricostruire ciò che c’era prima. Ma immaginare una rete nuova, diversa, decentralizzata, resiliente. Una rete solare.



Prima della guerra, il blackout era la normalità

Il sistema elettrico di Gaza era già fragile prima del 2023. Alimentato da una centrale a gasolio da 140 megawatt – spesso sotto regime per mancanza di carburante – e integrato da circa 120 megawatt importati da Israele, riusciva a coprire meno della metà del fabbisogno effettivo. Le interruzioni di corrente, soprattutto d’estate, potevano durare 18 ore al giorno.

Oggi la situazione è drammatica. Ma proprio per questo rappresenta un’occasione: una tabula rasa energetica da cui far emergere una rete del XXI secolo, che superi dipendenze esterne e vulnerabilità strutturali.



Una rete solare, modulare, e costruita dal basso

La proposta tecnica che diversi esperti e operatori umanitari stanno facendo circolare è chiara: non una nuova centrale, ma centinaia di microgrid locali alimentate da fotovoltaico e batterie al litio.

Nelle prime fasi, l’obiettivo è la sopravvivenza: ospedali, pozzi d’acqua, centri per sfollati, devono ricevere unità plug-and-play, container con pannelli, batterie e inverter, facilmente installabili anche da personale locale. Sistemi come i “Barrel” italiani, usati nei campi profughi e nei disastri naturali, sono un esempio pratico.

Poi, con la ricostruzione fisica, si potrà passare alla fase due: impianti solari su tetti ricostruiti, batterie modulari, reti a corrente continua tra quartieri. Il fabbisogno elettrico stimato per una Gaza ricostruita è di circa 800 megawatt, con un consumo annuo di 4–5 terawattora. Un obiettivo ambizioso, ma non irrealistico se distribuito nel tempo e nello spazio.

La parola chiave è resilienza: ogni quartiere potrà funzionare in autonomia, ma anche connettersi a un backbone federato, pronto per scalare con l’espansione urbana.



Una questione geopolitica (e morale)

La ricostruzione elettrica di Gaza non è solo una sfida tecnica. È anche una questione politica.

La Cina, con le sue aziende fotovoltaiche e la sua diplomazia infrastrutturale, potrebbe vedere Gaza come un’occasione strategica per dimostrare la sua leadership in contesti post-conflitto.

I Paesi del Golfo, in particolare il Qatar, gli Emirati e l’Arabia Saudita, potrebbero invece istituire un fondo multilaterale per la sovranità energetica palestinese. Il meccanismo proposto prevede due linee di intervento:

1. Pagare le bollette dei cittadini vulnerabili, garantendo continuità e dignità;

2. Supportare partnership pubblico-private locali, con installatori, cooperative e aziende palestinesi a gestire la produzione e la manutenzione.

Un modello Go (Government-to-Operator) potrebbe garantire sostenibilità economica e inclusione sociale, riducendo al minimo il rischio di monopolio o corruzione.



La fine del diesel, la fine della dipendenza

Il vecchio impianto a gasolio, simbolo di una Gaza dipendente da convogli e valichi, è ormai obsoleto. Non solo perché distrutto, ma perché culturalmente superato.

Il futuro, se vogliamo sia diverso, deve partire da una nuova architettura energetica: solare, distribuita, antifragile. Una rete che non può essere chiusa con un ordine militare, ma che si rigenera ogni giorno con la luce.

La tecnologia è pronta. I fondi potenzialmente disponibili. Serve solo la volontà – politica, internazionale, collettiva.



Un laboratorio per il mondo

Gaza potrebbe diventare il primo territorio urbano alimentato quasi interamente da energia solare decentralizzata. Un esempio replicabile per città distrutte dalla guerra o isolate dal cambiamento climatico.

Un territorio dove l’energia non è più una leva di potere, ma uno strumento di sopravvivenza e rinascita. Dove non si dipende più da chi apre e chiude il rubinetto del carburante, ma da un cielo che non fa distinzioni.



Matteo Villa è analista energetico e fondatore di Barrel S.r.l., azienda italiana specializzata in sistemi solari per contesti umanitari.

Gaza, una rete solare per rinascere
Lisa Contini 22 de maio de 2025
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